Marco Mensurati
Alla fine di una giornata estenuante, piena di polemiche e veleni, c’è un’unica certezza: mentre ciascun protagonista difende strenuamente la propria posizione di potere aggredendo quella del rivale, non c’è nessuno che, ad oggi, appaia davvero interessato a parlare seriamente della riforma dello Sport. E così, il giorno dopo la pubblicazione su Repubblica della lettera riservata con cui il 31 luglio scorso il presidente del Coni dettò al Cio il testo della minaccia di revocare il riconoscimento olimpico all’Italia (mettendo in dubbio sia la partecipazione a Tokyo 2020 sia l’organizzazione di Milano-Cortina 2026), si risolve in un fuoco di fila di dichiarazioni incrociate. Alcune, a favore del n.1 dello sport italiano. La maggior parte, contro. A difendere Malagò sono per lo più i suoi amici di sempre. I due membri Cio Franco Carraro e Ivo Ferriani, il mitologico Mario Pescante, il presidente della Federgolf Franco Chimenti. L’argomento ufficiale cavalcato da questo schieramento è quello — per la verità un po’ claudicante — secondo il quale Malagò avrebbe ottemperato a un suo preciso dovere di membro Cio. Un atto dovuto, insomma. Quello ufficioso — che poi è anche quello vero — è che «sullo sport in Italia c’è una guerra, e in guerra si spara«. In un certo senso è lui stesso ad ammetterlo: «In questa storia — dice in mattinata — c’è un aggressore e un aggredito. E quando uno è aggredito è normale che si difenda«. “L’aggressore” sono i sostenitori della riforma Giorgetti-Valente. Quella che prevede l’istituzione di Sport e Salute, e di fatto lo svuotamento economico del Coni. Ed è dalle file di questi sostenitori che ieri si sono levate le voci più dure contro Malagò. I più agguerriti sono i 5Stelle. Alessandro Di Battista accusa il capo del Coni di “alto tradimento”. «Il funzionario pubblico Malagò mentre pubblicamente terrorizzava gli atleti italiani (…) segretamente scriveva al Cio chiedendo di punire l’Italia e di escluderla da Tokyo 2020. Il Coni è un ente pubblico non un organo da deviare per fini lobbistici e clientelari di Malagò. In qualsiasi Paese civile il governo pretenderebbe le immediate dimissioni». Di Battista è sempre stato molto critico, ai limiti del pregiudizio, nei confronti di Malagò, tuttavia in questo caso la sua dichiarazione assume un notevole rilievo politico in considerazione del ruolo da poco assunto dal suo compagno di movimento, Vincenzo Spadafora, ministro dello Sport. Gli attacchi a Malagò sono arrivati anche dal mondo dello Sport. «Quelle due lettere — dice il presidente della Federtennis, Angelo Binaghi — parlano da sole. Anziché attaccare tutto il mondo, Malagò le chiarisca il prima possibile. Un atto dovuto? Non mi vedrete mai scrivere una lettera contro la mia federazione». Parole di contenuto simile, quelle del n.1 del nuoto Paolo Barelli, altro rivale storico di Malagò. Al chiasso procurato in Italia dalla notizia riportata da Repubblica, ha fatto da contraltare uno spettrale silenzio proveniente da Losanna (a parte una presunta smentita cercata dall’Ansa). Nella realtà il Cio — non senza un certo fastidio — ha scelto di stare ben lontano da questa storia e non ha emesso nessuna comunicazione ufficiale. Del resto sarebbe molto difficile smentire l’evidenza di una lettera, quella inviata dal Cio, che riprende parola per parola l’imbeccata riservata firmata da Malagò, ivi compreso un malizioso e non ininfluente errore: tanto il n.1 Coni nella sua lettera quanto il Cio parlano infatti di “decreto legge” quando invece si trattava di una legge delega.