Ettore Livini & Giovanna Vitale
La partita per le nomine del settore pubblico — un risiko che da qui a metà 2020 riassegnerà all’incirca 500 poltrone — riparte, paradossalmente, da una delle poche aziende statali che non ha il cda in scadenza: le Fs. A suonare il fischio d’inizio è Matteo Renzi, partito all’attacco del vertice di Ferrovie per imporre da subito la golden share di Italia Viva sul tavolo dove si ridisegnerà la governance di decine di partecipate e Autorità di garanzia: da Eni a Enel, fino ad Agcom e Agenzia delle entrate. Il detonatore di questo primo round è l’interrogazione con cui i renziani intendono contestare all’ad Fs Gianfranco Battisti un taglio di 3,5 miliardi agli investimenti e un doppio risarcimento — pare per un totale di 1,6 milioni — incassato dal manager per un incidente avuto nel 2014 grazie a una polizza collettiva infortuni e malattie delle Generali stipulata a copertura di tutti i dirigenti del gruppo. La compagnia di Trieste è stata fino a un paio d’anni fa l’unico assicuratore delle Ferrovie con contratti, secondo indiscrezioni, vicini ai 70 milioni l’anno. Con l’arrivo di Renato Mazzoncini, ex numero uno di fede renziana, i criteri per le gare sulle polizze erano state però riviste e nel 2017 il risparmio fu del 25%. Perciò ora Italia Viva vuole sapere se è vero che Battisti ha licenziato i dirigenti che hanno ottenuto questi risultati per riportare tutto sotto il cappello di un’unica compagnia. Accuse tuttavia rispedite al mittente da Fs, secondo cui il nuovo bando europeo avrebbe paletti identici a quelli dell’ultima gara. Una manovra che, dicono rumors di palazzo, tradirebbe in realtà il vero obiettivo di Italia Viva: indebolire l’ad insediato dal governo gialloverde per tentare il contro-ribaltone al vertice della società. Nonostante sia trascorso più d’un anno dacché l’allora ministro dei Trasporti Toninelli fece decadere il cda nominato da Renzi (e confermato da Gentiloni), la defenestrazione di Mazzoncini è un boccone che il senatore di Firenze fatica ancora a digerire. Al punto da meditare vendetta. A dispetto dei rischi. Fs è infatti l’architrave su cui poggia il salvataggio Alitalia e i negoziati, seguiti in prima persona dall’ad, sono in dirittura d’arrivo. Se salta Battisti potrebbe saltare tutto. E Alitalia, senza più un euro in cassa, andrebbe verso il fallimento. Il Ceo di Ferrovie non sembra però essere l’unico bersaglio di Renzi. Nel mirino, per ragioni analoghe, sarebbe finita anche l’Agenzia delle Entrate: uno dei tre enti fiscali, insieme a Dogane e Demanio, i cui direttori vanno confermati o rinnovati dal Tesoro (così come spoil system impone) entro 90 giorni dalla fiducia al governo. L’intento sarebbe di riportare in sella Ernesto Maria Ruffini, il tecnico renziano pure lui a suo tempo cacciato dai legastellati. È un elenco sterminato quello dei cda scaduti, rimasti impantanati nella crisi del Conte Uno. Si va da Sogin, la società incaricata dello smantellamento dei siti nucleari, a Sace, il braccio armato di Cdp per il sostegno agli investimenti italiani all’estero, fino ai vari satelliti della medesima Cassa: Investimenti e Immobiliare. Senza dimenticare Inps e Inail. Ma se per quasi tutti l’attesa è ancora lunga — decisiva sarà l’assegnazione delle deleghe ai sottosegretari, da cui dipenderanno gli equilibri in vari board — la trattativa della maggioranza (rallentata dalla legge di bilancio) si sta ora concentrando su Invitalia, la controllata del Mef deputata ad attrarre investimenti stranieri. Il cda è scaduto a fine settembre e finora il M5S non ha mai nascosto di voler sostituire lo storico ad, Domenico Arcuri, in carica dal 2007. Il premier però non sente ragioni, intende mantenerlo al suo posto, tanto da aver ingaggiato un duro braccio di ferro con Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli, il ministro dello Sviluppo da cui la conferma dipende. E sembra proprio che sia sul punto di riuscirci, grazie alla sponda del Pd. Più definita la partita per le tre Autorità in regime di prorogatio. Il Garante della Privacy, reclamato dai grillini, dovrebbe essere l’attuale segretario generale Giuseppe Busìa, altro uomo vicino a Conte. L’AgCom toccherebbe quindi al Pd, che vorrebbe indicare il deputato Antonello Giacomelli, sul quale tuttavia pesa l’ostilità dei grillini, contrari ad affidare l’incarico a un parlamentare. Mentre in pole per la successione di Raffaele Cantone all’Anac c’è il pm napoletano Roberto Tartaglia: 37 anni, già titolare dell’inchiesta stato-Mafia e ora consulente della Commissione Antimafia guidata da Nicola Morra. L’antipasto dell’infornata che verrà in primavera, quando — con la scadenza naturale dei vertici di Eni, Enel, Leonardo, Poste, Terna ed Enav — si faranno i giochi veri. E quasi tutti i manager, da Descalzi a Profumo, già tremano.